Quaderni Pizzutiani – 9/10

Fiori
Racconti
di Gian Maria Molli

di Maria Pizzuto

Frutto, questo quaderno (raggruppante due numeri dell’anno 2000: IX e X) di un fortunato incontro, risalente all’inaugurazione della Fondazione Antonio Pizzuto.

Da allora in poi Gian Maria Molli fedelmente ci segue, coordinatore toto corde di tutte le nostre manifestazioni culturali; talché, senza di lui, sentirsi spersi è dire poco. Rappresenta egli per noi una autentica forza itinerante, accompagnatrice del cammino da noi intrapreso nel produrre l’originale disegno di un intelligere attuantesi nell’ordine dei nostri desideri e propositi, etici e culturali.

Nostro auspicio quello di un felice incontro di questi Fiori con veri –pur se pochi- amici sinceri dei nostri studi pizzutiani; intendiamo quelli, capaci di intuire quanto in essere dietro questo titolo, di primo acchito tornanteci baudelairiano, epidermicamente infuso di misterioso horror come, nell’innegabile fascino talune pagine di Poe o di Kafka, sollecitanti interrogativi a non finire.

Non vogliamo qui con ciò pronunciare giudizi circa somiglianze con questi illustri autori del mistero; soltanto, rilevare fermenti analoghi di una tensione d’ascolto interiore, tendente ad un catartico impegno per quanto concernente lo stato dell’essere umano individuale e la sua condizione planetaria incarnata.

Tensione d’ascolto non illimitata, ma tenuta entro i limiti di un vigilantissimo abbandono, abbisognante di continuare immersione nel reale quotidiano prima di riuscire ad espungere il senso dell’autentico umano sé nella sua verità trascendentale, in continua lotta contro un io di conclamata forza terragna, ( attraverso tale identificazione e immedesimazione divenuto centro di qualità deteriori; di arbitri e di arbitrari atteggiamenti riconducesti a nuda e cruda animalità, senza avvenire metafisico quale spettante allo status dell’essere umano vivente, oltre qualunque confine d’estinzione mortale).

Gian Maria Molli, confessa, (attraverso i suoi cinque racconti riuniti in Fiori), conflitti e violenze emergenti dalla pagina in forma allusiva; una sorta di visione tagliente in bianco nero per dare alla coscienza modo di individuare il punto focale del disagio di vivere e la ricerca dei mezzi per attuare quella trasformazione dello stato dell’essere umano individuale, guadagnando così una sorta di camino ascensionale, verso cui indirizzarsi un’anima per ottenere abilitazione a esprimersi cosmicamente; a sé attraendo qualità e virtù utili a immetterla nell’universale, dimora d’elezione della condizione umana.

Nell’ordine di un’analisi serrata, d’indole iniziatica, un fitto tappeto di valutazioni analogiche, (sottostanti ogni aspetto della manifestazione vivente), vengono evidenziate attraverso l’utilizzo dei sensori disponibili nell’uomo.

Viene così svelato un processo interiore di autoanalisi, sottratta all’esclusivo dominio della ragione, osservando la stessa all’ascolto di imponderabili trascendenze.

Finalmente in Il disco all’uso della ragione considerata nell’ordine di realtà sensibile si sostituisce l’esaltazione d’una ricerca della verità fondata sull’ascolto. L’umano attuarsi adempiendo alla scelta di aderire alla pura intuizione in luogo del ragionevole dubbio. Quest’ultimo di continuo fa cambiare la musica sinceramente ascoltata durante l’incipit della ricerca. Bisogna, esorta lo scrittore, identificarsi a tal punto nella musica tanto da divenire quella stessa, affinché la trasformazione dell’essere si adempia in una ascesi, quale all’uomo spettante come compimento. E una volta giunti a questa verità la musica d’elezione potrà essergli compagna durante l’iniziatica sua ascensione nella luce.

Lasciarsi vincere dalla cognizione di uno stato trascendentale, agevola l’essere verso la conquista del suo status d’elezione nell’universo, del quale membro ed efficiente causa.

Nell’ascolto del disco, nella sua circolarità continua e incostante, armonico- ritmica, la coscienza del protagonista diviene coscienza dell’evento da indurre in manifestazione; questo ascolto, vigilato, vigilante, voglioso di acquietarsi nel continuum, determina nella coscienza in essere il salto di qualità definitivo dal quale non si torna più indietro perché la scelta è già fatta e indica l’unica conseguentene soluzione; ascoltare il ritmo cosmico – quello della musica delle sfere – nella quale si adempie il destino dell’essere umano, la sua emersione di là da qualunque angustia e limite, in pienezza di vita.

Così, dopo tanti episodi di morte, la nascita definitiva, l’avvento del vivente. Il simbolo vi acquisisce il potere della parola come principio.

Esso diviene verbum, creatore di mondi, dotato di potere decisionale una volta avuto il coraggio di uccidere quell’ego di impedimento subito durante lo stato dell’incarnazione. Nasce così alla identificazione d’un illimite modo di sentirsi vivente musica dell’universo, e come tale potendosi , esprimere.