Chimento Castrenze, nudo e crudo

 

 

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di SANTO LOMBINO

SORGERA’ IL SOLE ANCHE PER NOI.

Narrare se stessi e la propria esistenza serve sia a ripercorrere le tappe dolci o amare di una vita, sia a rivedere le scelte fatte, a dirigersi verso nuove mete, indirizzando in un modo diverso quello che resta dei propri anni. E’ciò che hanno fatto tanti nei secoli recenti e tantissimi nell’ultimo. Prima letterati, uomini di chiesa, artisti, nobiluomini e nobildonne, pedagoghi e pensatori di mestiere. Poi, artigiani, operai, contadini, soldati, migranti, casalinghe, alfabeti e semianalfabeti.

Tra questi ultimi, Castrenze Chimento, classe 1935, nato ad Alia e abitante a Palermo, vincitore dell’edizione 2012 del Premio Pieve per i diari e le memorie inedite intitolato a Saverio Tutino, con una manoscritto intitolato “L’odissea di tutta la mia vita…”, in cui racconta come ha cercato in tutti i modi di trovare la strada per mettere su carta tormento ed estasi della propria età infantile.

A partire dal manoscritto, il regista Nosrat Panahi Nejad, iraniano presente a Palermo da un ventennio, ha realizzato all’ inizio di quest’anno il docufilm “Castrenze Chimento. Nudo e crudo”. Nella prima parte, l’occhio e la presenza del regista seguono il viaggio all’ indietro del nostro autobiografo che ritorna ai campi spogli delle Madonnie, alle pareti rocciose della grotta della Gurfa dove fu bambino-pastore, dove trascorse giorni e notti terribili da solo o con qualche compagno di sventura, a volte un animale più buono degli umani. “Camminavo scalzo sotto il sole e la terra calda bruciava la pelle dei miei piedi – lamenta l’autore parlando della sua infanzia. “Quante volte ho sofferto perché

ero punto dalle spine e il sangue faceva la crosta sui piedi”. “Nella notte e nel silenzio sentivo sollevarmi da tutte le paure perché sentivo il fiato ed il respiro delle mucche”. E altrove: “Sono certo che la luce della notte vedeva il mio corpo attorcigliato su se stesso e sono certo che il cielo ha fotografato il mio corpo…”.

La natura con le sue asperità, con il suo alternarsi di freddo e di caldo, con la sua spesso inospitale vegetazione circonda Castrenze che, anziché odiarne le manifestazioni, ne è commosso e conquistato. Il firmamento sente il dolore del ragazzo che pascola pecore e maiali e si piega ad ascoltarne il pianto e il lamento, a proteggerlo e confortarlo. “Si vedevano solo le stelle – egli scrive — e si sentivano le cicale frinire sugli alberi. Questo canto sembrava il canto di un’armonia celestiale per darmi forza per il miracolo della vita su questo pianeta Terra”. “ Le stelle del cielo sereno davano forza al mio carattere, mi spingevano ad alzarmi e camminare”. E poi: “Volevo urlare, ma avevo paura, volevo piangere ma non avevo il tempo di sentire perché vedevo la mia ombra che camminava davanti a me, perché a volte le nuvole si discostavano dalla luna e vedevo le stelle, gli alberi e gli uccelli che si riparavano sotto le foglie”.
Il regista segue con la camera il calpestio dei passi dell’uomo, che a distanza di sessanta anni non riesce a trattenere le lacrime: ripercorrere quei luoghi significa per lui soffrire ancora una volta. Ma forse narrare al mondo questo soffrire lenisce finalmente le piaghe di un Chimento-che-è-stato, un uomo diverso ma uguale a quello che ora riannoda i fili dell’esistenza. “Ero stanco assetato affamato, pieno di rabbia e di crepacuore…”. “Nessuno prendeva le mie difese, sono stato nudo e crudo, disprezzato e picchiato diverse volte”. Il bambino-servo-pastore non era difeso neppure dalla madre, che anzi, egli racconta, “mi ha lasciato nudo e crudo nella sofferenza e nel dolore della mia crescita senza Dio né regno, disprezzato da chi non aveva diritto della mia vita”.

In una sorta di passaggio di testimone, Panahi Nejad dà la parola all’attore Franco Scaldati, che leggendo il testo autobiografico di Chimento amplifica e dà respiro universale alle pagine in cui è narrata la storia del ragazzo di Alia. I suoi pensieri in sé sono diventati adesso, anche grazie a tale lettura, per sé, esterni all’autore stesso, quasi oggetto da cui tentare un distacco. Con lo stesso effetto che proviamo quando riascoltiamo a distanza di tempo una registrazione della nostra voce. Le parole ed il corpo di Scaldati diventano così strumento di autocoscienza, medium per una rivisitazione in trance delle voci interne dello scrittore semicolto ormai avanti con gli anni. Il quadrilatero così formato presenta un vertice in Castrenze e nella sua opera, un altro nell’attore-regista di “Lucio”, un terzo nell’occhio indagatore di Panahi, l’ultimo in quello dello spettatore che osserva e ascolta.

Nosrat vuole cogliere ciò che soggiace alla vita stessa del memorialista, non è interessato alla cronologica sequenza degli eventi: segue il dipanarsi del filo rosso che unisce i vari aspetti di un’esistenza violentata, ne evoca l’immanente logos operando una sorta di onirica verticalizzazione dell’esperienza. Vuol sottolineare l’idea che il momento decisivo, l’autorealizzazione, l’epifania del pastore diventato cittadino si ha con la conquista del linguaggio scritto, tenacemente perseguita e raggiunta. Questo strumento guadagnato da Castrenze solo a 74 anni con la frequenza dei corsi delle 150 ore, gli consente finalmente di lasciare una traccia della intera esperienza vitale, di giustificare gli errori commessi, ripensare ai pochi intensi gesti d’affetto della sorella, (“mia sorella Maria era la maggiore delle figlie femmine, mi faceva la madre perché mi abbracciava e mi baciava”), perdonare chi ne ha umiliato ed offeso la dignità di uomo… Solo grazie alla conquista dell’alfabeto, solo scrivendo, Chimento, “mai andato a scuola per l’odissea della sua famiglia”, riuscirà nel suo progetto comunicativo ed esistenziale. La “presa della parola” scritta è messa in risalto nel filmato dalla ossessiva ripetizione dei singoli fonemi che rinviano echi all’aria aperta, nella grotta-utero, nelle grandi vuote stanze del centro sociale San Saverio dove è avvenuta l’alfabetizzazione, nella locomotiva che collega metropoli e paese…

“Dopo 75 anni sto scrivendo la mia storia e questo è sempre stato il mio desiderio”. Ora che è sconfitto il buio dell’afasia, ora che è avvenuta l’appropriazione del medium linguistico, Chimento può fare pace con tutti coloro che ne hanno maltrattato la verde età, cancellato sogni e speranze, colpito con violenza il corpo e la mente. “Siamo sconvolti della vita, ma siamo pazienti perché sicuramente, un giorno, sorgerà il sole anche per noi. Questa è la certezza che sento nel mio cuore”.

NOTA DELL’AUTORE

Girato tra Palermo e Alia e liberamente tratto dal diario Odissea della mia vita di Chimento Castrenze, vincitore del premio Pieve S. Stefano settembre 2012, il video film Nudo e crudo aggiunge un altro tassello alla teca della memoria dedicata dal regista ai personaggi e alle figure significative dell’isola.

In questo recente lavoro ispirato alla incredibile storia individuale di Castrenze, in una continua altalena di privazione e violenza, ciò che assume maggiore importanza nella lettura registica riguarda la conquista tardiva della scrittura, del linguaggio, da parte del protagonista. Strumento necessario per un amarcord privo di qualsiasi ipotesi nostalgica, bensì pregno di un’attualizzazione e di una materializzazione qui e ora fin tanto da spingere prepotentemente ad apprendere la chiave di volta del sapere, del saper scrivere. Dove lo strumento principe rimane da sempre la pronuncia e la grafia di un’alef, incipit dello scrigno alfabetico.

SCHEDA

Titolo: Chimento Castrenze, nudo e crudo

Di: Nosrat Panahi Nejad

Con: Franco Scaldati- Chimento Castrenze

Fotografia, audio, montaggio: Nosrat Panahi Nejad

Durata: 35 min.

Produzione: Luisa Mazzei – Nosrat Panahi Nejad- Palermo 2013

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DFFF

DONNAFUGATA FILMFESTIVAL 17/29 settembre 2013

COMISO FONDAZIONE GESUALDO BUFALINO 17/24 [PRIMA PARTE]

        FONDAZIONE GESUALDO BUFALINO/SPAZIO NASELLI 25/29 [SECONDA PARTE

DAL PREMIO PIEVE AL PREMIO BUFALINO Comunicato Stampa  «Una serata particolare, venerdì 27 settembre, alle ore 21.00, sempre presso lo Spazio Naselli, in collaborazione con la Fondazione Gesualdo Bufalino, la dedichiamo alla consegna ex aequo del Premio Bufalino. L’enfant du paradis, arrivata  ormai alla VI edizione – ci tiene a dire con orgoglio il direttore artistico Salvatore Schembari – ossia a Terramatta di Costanza Quatriglio e a Chimento Castrenze, nudo e crudo di Nosrat Panahi Nejad. DAL PREMIO PIEVE AL PREMIO BUFALINO è il titolo dell’iniziativa che vuole sottolineare il passaggio da un premio letterario a un premio cinematografico, la resa del mutamento linguistico, (partendo dai due vincitori delle rispettive edizioni del premio Pieve di Santo Stefano: quella del 2000 vinta da Vincenzo Rabito con la sua opera Terra matta e quella del 2012 vinta da Chimento Castrenze con il suo diario Odissea della mia vita) nelle relative trascrizioni cinematografiche, liberamente ad essi ispirati». Parteciperanno alla consegna del premio: i due registi, i fra telli Turi e Tano Rabito, Chiara Ottaviano, sceneggiatrice e produttore del film, per Terramatta; l’autore del diario premiato Chimento Castrenze per il film realizzato dal cineata iraniano. A condurre meritatamente la serata il critico Santo Lombino. Buona Visione!