I RITRATTI DI NOSRAT CACCIATORE DI MEMORIE

25/11/2011

Sarà che la memoria dei luoghi e delle persone ama la distanza nella messa a fuoco, o perché fermare uomini e cose in un fotogramma è un tentativo di immortalità, non disgiunta da un’ epica del ricordo: forse per questo Nosrat Panahi Nejad, iraniano, studi di cinema e fotografia tra Milano e Bologna, ha scelto di diventare l’ uomo della memoria dei maggiori personaggi che hanno attraversato, narrato, arricchito culturalmente quest’ Isola. Natoa Teheran nel 1953, giuntoa Palermo nel 1993, Nostrat Panahi raccoglie dati, storie, immagini, colleziona esistenze con determinata ostinazione; materiale vario, a volte custodito senza ancora immaginare dove andràa finire, come verrà composto, montato, utilizzato. Lo slancio per la realizzazione di questo repertorio del ricordo è però la molla più autentica per Nosrat, unita ad un’ analisi del processo del visibile, maneggiato con cura: ed è con queste linee guida che hanno preso forma i suoi più recenti lavori, quattro documentari – totalmente autoprodotti, insieme a Luisa Mazzei – che vengono presentati oggi e domani alle 20,30 negli spazi de La Vicaria. Il primo appuntamento vede la proiezione di “Gaspare Cucinella, ritratto di un attore”, seguito da “Archimede, breve e lacunosa storia di una sala cinematografica al Borgo Vecchio”, che vengono presentati con un commento di Guido Valdini, Salvatore Rizzo, Sergio Troisi, mentre domani si proiettano “Antonio Pizzuto, Sur le pont d’ Avignon” e “Aldo Pecoraino, l’ albero perpetuo”, con interventi di Lucio Zinna e Salvatore Tedesco. Le presentazioni sono accompagnate da un libretto con gli ultimi scritti inediti di Gregorio Napoli, insieme a testi di Anna Maria Ruta, Lucio Zinna, Salvatore Tedesco. «Il documentario – dice Nosrat Panahi – è una specie di dimora per un eccesso di fantasia. Il film è un ritratto perfetto, ma allo stesso tempo una modalità per tirar fuori altro. Ecco, in questo senso non ho mai pensato di fare il documentarista». Ma come mai si è materializzata proprio qui in Sicilia così forte questa urgenza della memoria? Risponde Panahi: «Il primo incontro con la memoria di quest’ Isola risale al 1993, quando dovevo realizzare le fotografie di alcuni documenti per il libro “Il sommacco” di Dacia Maraini. Così scoprii che tutti i documenti che mi trovavo ad inseguire erano sparsi, non catalogati. Poi la visita nello studio Scafidi, per recuperare vecchie fotografie del Teatro Massimo, completò il senso di questa mia osservazione. La settimana seguente ero di nuovo da Scafidi, per conto mio, ma per ordinaree catalogare quelle straordinarie immagini». Insieme agli uomini, questa volta uno dei documentari è dedicato ad un luogo, l’ ex cinema Archimede del Borgo Vecchio: il regista ha rintracciato l’ ultimo proiezionista del cinema, che adesso fa il posteggiatore, e l’ ha portato a riaprire dopo 22 anni solo per qualche ora quel luogo di immagini evanescenti e ricordi straordinariamente presenti. Tra le rovine e i detriti, il proiezionista ritrova alcuni suoi oggetti personali e prova a raccontare come era il cinema Archimede allora. Nel frattempo, le sue parole si sovrappongono alle reminiscenze visive e sonore dei film del passato e ai ricordi degli abitanti del Borgo. Il film ha inizio con la voce di Michele Perriera che legge frammenti di “Romanzo d’ amore”, nel passaggio in cui si parla dei luoghi della città caratterizzati dalla «ruvida gentilezza», e fa da apripista d’ eccezione ad un salto indietro nel tempo, al ricordo trasfigurato in parole di una città che non esiste più, e non solo fisicamente. «Questo cinema – dice Nostrat Panahi – è uno straordinario contenitore di persone, di racconti, tra quelli della gente e quelli cinematografici. La memoria sepolta sotto la polvere è affiorata, e rappresenta quella densità dispersa che io ricercavo». E adesso che del cinema Archimede è rimasto solo l’ involucro esterno delle pareti, il peso del ricordo diviene ancora più forte ed efficace perché, spiega il regista, «combattere contro l’ oblìo è diventata una ossessione, forse perché è anche una metafora del luogo, dell’ isola nell’ isola». Per il suo secondo documentario sullo scrittore Antonio Pizzuto, Panahi ha coinvolto la figlia Giovanna, vulcanica ottantenne che racconta il padre iniziando con un canto, per spiegare che il romanzo non è altro che una autobiografia dall’ interno. Aldo Pecoraino che irrompe sullo schermo, è un viaggiatore dall’ aria distratta che vaga nella sua casa come se si trattasse di una macchina del tempo;e da ogni stanza, ogni dipinto, ogni oggetto, trae fuori un ricordo che è il peso del presente e il sollievo di ciò che è già trascorso, ma non per questo ancora archiviato, in un ritratto incrociato di persone dipinte e altre in carne ed ossa, dove non si è bene sicuri della realtà e dell’ invenzione. Ancora una casa, quella di Gaspare Cucinella, attore il cui percorso artistico è legato alla presenza di Franco Scaldati, e che dunque per raccontare se stesso sceglie di leggere nel corridoio “Il pozzo del pazzi” insieme ad alcune sue poesie in dialetto, quasi un monologo di fronte ad uno specchio. Nostrat Panahi dice: «Ho a cuore un termine, sinopie culturali. Credo che in questa definizione sia contenuto il fascino dei protagonisti dei miei documentari, che hanno in sé una verità profonda sulla quale si è dipinto sopra, si è costruito».

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