Commiato in video

12/06/2005

La “Scomparsa di Gesualdo Bufalino” di Nosrat Panahi Nejad si apre ossimoricamente con un commiato («Addio, bivacchi di festa»). Non un addio ai monti, ma un foscoliano elogio e insieme rammarico della distanza («Resta di tanta vacanza», che riecheggia la perduta “speme” del poeta di Zante). La motivazione encomiastica viene subito assorbita e quasi annullata da un complesso ordito di slittamenti iconici e semantici.
marcello benfante L’ inquadratura della casa di Bufalino stabilisce una sorta di “alfa” o scaturigine da cui si sgrana tutto il filmato nel teatro atavico della Comiso natale e ferale («Questo luogo mi piace per morire»). Seguono le immagini riprodotte: la fotocopiatrice in funzione, la rassegna stampa, un ritratto. Il fantasma di Bufalino appare straniato in un processo di duplicazione e serializzazione. Ma lo sdoppiamento e la moltiplicazione sottolineano con forza la mancanza. I titoli strillano la dipartita dello scrittore. Ciò che resta è la sua viva voce, insieme alla pallida orma dei grafemi, le «parole di un moribondo di provincia» che riecheggiano da un aldiqua premonitorio. Anche la bara, collocata tra i volumi della Biblioteca comunale, segnala un’ analoga presenza-assenza. Il corpo è divenuto libro. Così come gli avanzi di cibo, immagine consolatoria e postuma, riassumono emblematicamente la rielaborazione del lutto: il rito è consumato, come il pasto. E anche la notte deve passare, diaframma d’ ombra e luce tra i due giorni d’ esequie. L’ elogio funebre assume cadenze rievocative in un trittico di testimonianze. E «l’ amabile voce» rivive per un istante, come initazione e rimembranza, nell’ accenno di canto di un amico affranto: «che reste-t-de nos amours». Appare traccia dell’ epilogo fatale in quell’ accenno alle passeggiate in macchina con lo scrittore felice e malinconico, forse in qualche modo attratto dalla seducente morte. La voce allora diventa pagina, il verso affiora dal lucore cartaceo. Lo spettatore ridiventa lettore nella ricongiunzione del verso recitato con quello stampato che assume quasi la valenza di una sinestesia. La trasposizione si compie a livello simbolico con l’ inserto dei caratteri tipografici mossi come scacchi. Alla sinopia allegorica di Nejad fa da contraltare l’ intonazione sincera e al tempo stesso controllata, da rétore gentile e pudico, di Bufalino. Lavora sui dettagli, sugli interstizi, Nejad: le sveglie (ricorrenti, come le mani, nella sua opera) sottolineano l’ ambiguità del tempo fermo che «scambia mezzogiorno per mezzanotte». Due volte l’ orologio rotto segna comunque l’ ora giusta, per caso o per ineludibile appuntamento col Fato. E intanto la radio (ancora un topos di Nejad, ma con un preciso riferimento al bufaliniano “Inventario della mia morte”) diventa metonimia del canto lirico, oggetto-fonico che catalizza l’ anima. Non si tratta però di un rimando nell’ ottica della citazione o della restituzione, piuttosto di una contaminazione esponenziale che comunque sottende a una circolarità o un vorticoso ritorno degli elementi. (…) Lo spettro del poeta riaffiora, come richiamato dalla formula dei suoi versi, nell’ immagine fotografica. Sono pose di gioventù in cui sembra scorgersi l’ entelechia del ritratto fotografico. Il commiato volge al termine con la bara che esce dalla camera ardente, inseguita dall’ obiettivo che s’ impone l’ autoreclusione nel perimetro sacrale della Biblioteca. Il “Canto del destino” di Brahms evoca un senso tragico di ineluttabilità. In ultimo compare Bufalino ad accomiatarsi da se stesso (“Approdo del fantasma”), materializzazione testamentaria dell’ anziano che è pure eterno fanciullo, sopravvissuto alla fine precoce ma in ogni modo anzitempo sottratto alle amate carte che ancora raccoglie sotto i portici, quasi a volerle sottrarre all’ oltraggio del vento. E si congeda attraverso la straziante figura del piccolo Adelmo (“Lapide del bambino”), straziato da una tosse senile, troppo presto sottratto ai cartacei giochi di guerra. La morte non ha età e d’ altronde la vita è leopardianamente malanno. Gli ultimi accordi del requiem sono queste anacronistiche e spettrali immagini che sembrano suggerire un trattenuto passo di danza. E Nejad non poteva trovare un più consono omaggio.

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