La carne

occasioni di quel tumulto formale

di

Salvatore Tedesco

Fra i pregiudizi più diffusi per quanto riguarda il mondo della fotografia, c’è quello del carattere documentario dell’immagine e, accanto ad esso, come una sorta di variante liberamente disponibile per ogni uso, l’esotismo, ogni sorta di esotismo, quello dell’Oriente, o delSudamerica, o di Palermo. La sequenza La care (Ghusc’t) di Nosrat Panahi Nejad si allontana da simili concezioni con un gesto che vorrei dire di straordinaria libertà e plasticità, con quella posa leonardesca che ricorre in più immagini della serie e che, nel momento stesso in cui appunto impedisce ogni lettura “documentaria” di questa sequenza interamente realizzata in Iran, ci avvicina, credo, al nocciolo della poetica di Nosrat, al suo umanismo.

Nosrat Panahi Nejad, Guscht01

Umanismo significa qui soprattutto riconoscimento dell’originaria metaforicità, narratività dell’immagine, una metaforicità che si dispiega in stratificazione, in spessore storico, e che rimane inseparabile dal lavoro compositivo individuale, dallo studio, attraverso cui diventa racconto.

Questo, forse, ci aiuta poi a intendere meglio il rigore della stessa tecnica compositiva, la costruzione verticale dell’immagine, il pensiero che guida l’invenzione nell’accostamento di quegli spessori, di quelle differenti storie possibili.

E così che gli ampi scenari, i cieli intensissimi, le colline iraniane, che già conosciamo dal cinema, e dalla fotografia, di Kiarostami, le storie raccontate dai pittori del Coffee house painting, al pari delle annotazioni più “autobiografiche”, delle immagini singolari dello Sport antico (verzesc’e Bastani) o di quel filo rosso tematico, le botteghe e il lavoro e gli strumenti del macellaio – la carne appunto, come in quell’immagine occupata da interiora ammassate – diventano occasioni di quel tumulto formale, come lo definisce lo stesso Nosrat, che non è altra cosa che l’attività ingegnosa dell’autore, che si rintraccia nei rapporti e nei percorsi temporali che essa istituisce dando corpo ai quadri della narrazione.

 

La fotografia di Nosrat è poi, sempre, una fotografia che invita a farsi leggere con la mano, misurandone tutte le asperità, la differente consistenza materiale, e ciò anche quando, come qui, né il negativo o la fotografia stessa sono graffiati e incisi, né sezionati da assi artesiani, né una mano percorre le immagini, ne infine la scultura entra in prima persona come materia della costruzione, come nelle variazioni, per lo più ancora inedite, sulla Pietà Rondinini.

All’immagine che prima ricordavo, quella delle interiora ammassate, corrisponde, verso la fine della sequenza, quella del cancello con i catenacci, o quella finale, ripresa attraverso un reticolo metallico, quasi a indicare la duplicità in cui, fra la massima astrazione formale e la ruvidità dei suoi segni, questo umanesimo vuole articolarsi.

 

© Nosrat Panahi NejadFotografia di Nosrat Panahi Nejad, ritratto, 2008, Teheran

Nosrat Panahi nejad Ghuscht