La grafia di Antonio Pizzuto
di
Nosrat Panahi Nejad
A sara che scrive bene in persiano
La grafia di uno scrittore rappresenta l’elemento più intimo e prossimo all’essere dello scrittore.
Essa è il punto finale di un tumulto e di una fluidità tutta (interiore) racchiusa in sé e che si manifesta soltanto tramite la forma “danzante” delle lettere la cui essenza gode dalla perfetta aderenza psichica e mentale di chi la produce.
Ogni grafia costituisce da un lato una soglia ( essere messo in contatto con il mondo palese) e dall’ altra un approdo alla presunta fabbrica mitopoiètica. E quindi si pone tra l’essere scrittore e il mondo.
E ‘ colmo di predisposizione con altrui sensi/intelletto. E ancora privo di alcuna mediazione o tendenza a metamorfosi in ordinati corpi/ testo tipografici di piombo o di legno o, di una digitale inconsistenza odierna. E quindi genuina e non inghiottita dal magmatico regno della editoria.
In realtà la grafia dello scrittore è il punto finale della genesi di un idea (senso) già compiuto nel chiuso del suo corpo ( medium eternamente caldo) e che solo attende la mano con calamaio/inchiostro o la penna a sfera (dopo L’invenzione di Laszlo Josef Biro’, 1938) per uscirne.
Il suo unico proposito immediato è palesarsi. Perciò occorre considerare che vi è un parto anche per il logos. E a volte travagliante quanto il suo modello umano.
Ogni testo digitato coi mezzi moderni rimanda ai sensi e significati proprii secondo il dizionario o il visuale interpretativo e spinge verso l’ attuazione di una logica decifrazione disegnando una mappa comunicativa di sana burocrazia narrativo.
Al contrario, la grafia a mano di chi scrive, nudo e crudo, nella sua forma palesa il tempo interiore dello scrivere con le sue pieghe, sfaccettature, spasimi, sorprendenti, tanto quanto il racchiuso significato (narrativo/poetico) del testo stesso digitato, editato.
E a volte, scavando, scavando, oltre la genesi della struttura del testo anche il disagio identitario di chi scrive. O la sua solitudine esistenziale, il suo furore, la sua demenza…
Per esempio nelle carte scritte a mano di Antonio Pizzuto ci si accorge che egli ossessivamente, fa precedere ogni esternata riga dalla data e dall’ora in cui incomincia a scrivere per poi ripetere altrettanto alla fine l’orario e la data.
A lui non importa che il prodotto sia esiguo (senza alcun ingombro di parole) ma importante che tutto il palpitare scrivendo sia parallelamente registrato insieme alla gestazione del logos, persino mediante le ripetute cancellature o evidenziamento in rosso, o in mancanza della carta sul dorso di una busta del Ministero della Pubblica Sicurezza.
Tutto affinché si segua, ortodossamente le leggi del diario per la produzione di un logos onnisciente.
Tutti questi elementi indubbiamente documentano o avvertano dell’esistenza di un altra narrazione che va oltre il contenuto precipuo. Ci suggeriscono il tempo e il luogo e lo stato di animo dello scrittore nella sua corporea esistenza. E il suo modo di abitare il mondo e soprattutto, come abbiamo detto, l’onniscienza della scrittura la quale è attuabile persino anche sul palmo della mano ove la carta ( eternamente bianca/ attendente) non è disponibile.
Come d’ altronde le molti varianti di un brano o le cancellazioni operate con tanta insistenza e nervosismo e a volte con l’utilizzo di un colore della penna a sfera diversa dall’abituale con cui si scrive, per esempio rosso o verde [ colore a portata di mano, tascabile grazie alla invenzione di Birò], onde crearsi una sorta di grafica individuale/mentale equivalente a: grassetto o sottolineatura, corsivo, ecc. ecce. Insomma si tratta dell’ introduzione della distinzione visiva su/in un testo scritto interamente a mano.
Anche questi elementi di esclusiva competenza di forma visti a posteriori rasentano il tentativo di una pittura incerta dell’ anima in costante messa a fuoco dell’ immagine, l’immagine della fotogenia del logos, intrinseca, difficile nel formarsi, come esattamente quella della catena dei significati/verbi.
La grafia a mano di ogni scrittore, come abbiamo già detto, è la memoria principale dell’ essere storico del corpo. Essa rappresenta l’unicità non ancora massificata e uniformata dalla stampa. E’ il suggello del tatto e della grazia manuale, retaggio di tanto umanesimo, che il moderno ha dissipato per poter, poi, istituzionalizzare modificandola in molteplici dispositivi dei corpi testo: Arial, Times New Roman, Calibri, ecc. ecc..
Se la scrittura stampata fornisce parti o non della visione interiore di chi scrive, la grafia, invece, è l’abitabilità perenne. La sua importanza è pari all’ oralità (voce) del rapsodo errante il quale per mezzo della sua voce sparge semi/ immagini proliferanti in chi approda alla soglia dell’ascolto. Perché immediatamente, coinvolgendo e coinvolgendosi, impegna la persona cosi tanto da conferirla lo status di umana replicante del verbo.
Dunque, la grafia non è solo una traccia propedeutica ed inducente alle stamperie ma di per sè è il senso compiuto dello sforzo creativo. Se mai la stampa (in caratteri di piombo o digitali) rappresenta la postumità. La Sua postumità . Rappresenta la lontananza dalla forma originaria del logos.
Nosrat Panahi Nejad