Le emozioni ‘strutturate’ nella musica di Incardona

21/06/2007

Una scala stretta e ripida di una casa restaurata all’ Albergheria. La camera la risale. Si ferma al primo pianerottolo, poi allunga lo sguardo sino alla sommità. Lì fanno da quinte due donne anziane. Ci colpisce della donna minuta che sta a destra il volto di cera che esprime una bontà rassegnata. A illuminare la quinta-donne una lampada oscillante.
(segue dalla prima di cronaca) è la prima sequenza di Federico Incardona. Ritratto postumo di un musicista di Nosrat Panahi Nejad che si proietta domani sera alla Biblioteca comunale di Casa Professa, a poco più di un anno dalla scomparsa del musicista palermitano. La camera di Nosrat entra, e il suo movimento oscilla, come la lampada, in un interno affollato di libri, dischi, partiture, quadri scrivanie, lampade da tavolo. Federico Incardona scarnito dalla malattia, l’ espressione seria, le labbra contratte, armeggia attorno a un paralume pieghettato e avvita una lampada. Mehr Licht! (è anche il titolo di una composizione di Incardona) e il motto di Goethe morente riacquista il suo senso apparente. Il rumore stridente dell’ avvitare la lampada si coniuga con un foglio prezioso di un antifonario portato avanti come una glossa dalla mano invisibile ma presente del regista palese. Il rumore e il suono, che possiamo immaginare, del canto gregoriano si sommano in sincronia reale e immaginaria con il suono che commenta l’ immagine: lunghi pedali di note gravi tenute degli archi e di note acute, estreme delle voci bianche. è la musica di Incardona (Mehr Licht!, Per fretum febris, Malor me bat) che si ascolta mentre l’ occhio ne guarda il suo spettro. Con uno scarto del montaggio Nosrat Panahi Nejad ci mostra, fuori, nella strada, operai che avvitano lampade delle luminarie, issano gli archi, per festeggiare il santo del quartiere. Alle luminarie popolari fanno da contrappunto i lunghi spasmi dei tromboni, i misteriosi battiti delle percussioni di Incardona. Con un altro veloce scarto Nosrat ci rivela i due narratori: la madre di Federico e il musicologo Paolo Emilio Carapezza. Ora Federico è al tavolo di composizione e Nosrat fa avanzare come glossa la foto di Sostakovic. Altro scarto e gli occhi trasparenti di una foto di Federico volano a lambire gli occhi tristi della madre. Altro scarto: si chiude la porta di ferro e il suo pomello di ottone risuona. Otto minuti. I primi otto minuti del «primo movimento» del nuovo videofilm del regista iraniano, trapiantato a Palermo, e che da anni lavora per illustrare «figure e i luoghi di una sua personalissima geografia intellettuale». Il regista assente eppure palese con la ragnatela dei suoi movimenti ci appare come un muto glossatore. I suoi movimenti, soprattutto l’ ombra dei suoi movimenti, così come gli oggetti che entrano in campo, si affermano come «commentaire» allo scenario, e al mistero del mestiere del comporre. Incardona produce rumori. Nell’ avvitare la lampadina, nel cancellare le note appena scritte, nel togliere con veemenza le briciole della gomma, nel battere con la sinistra il tempo della battuta da scrivere, ma non pronuncia mai una parola. Ascoltiamo la sua voce soltanto come un reperto esterno quando ci consegna un principio di poetica che parla della strutturazione dell’ emozione. L’ espressione dei sentimenti – dice Federico – ha un senso se essa viene formalmente strutturata. Altrimenti non v’ è comunicazione ma solo raggiro. Nel videofilm il silenzio del musicista è infranto dal suono al pianoforte di singole note staccate intensamente con un solo dito e irrelate in una estrema tensione. Così intendeva la sua “Complainte per Sostakovic”. A parlare invece sono la madre e Carapezza. Il secondo movimento del film è un fitto microntreccio della «storia personale» e musicale di Federico. La madre Raffaella, anziana e bella signora, non piegata dai lutti, parla con semplicità e con l’ intelligenza soprattutto del cuore: «Debbo dire che la musica, la sua scrittura musicale è la sua vita». Racconta della passione musicale di Federico sin da bambino, ci dice dei suoi studi irregolari, e sorride, frenando le lacrime, quando ricorda l’ altro figlio Marco: pittore, morto anche lui giovanissimo. Mostra un foglio di musica dove da un lato c’ è una composizione di Federico e all’ altro un ritratto di un giovane che Marco realizza con violenza con i colori accesi della tavolozza espressionista. Federico e Marco due facce dello stesso foglio: una metafora oggi di una dolorosa assenza. Carapezza, che, insieme a Titone, di Federico è stato l’ angelo protettore, parla della la sua musica. La riconduce all’ espressionismo viennese Mahler-Schoenberg – Webern e ne definisce, oltre a quella triade, una sua peculiare qualità astratta. Ma Carapezza ci dice ancora della generosità di Federico: «La sua casa ha ospitato un fiume di umanità con calore». Segue il «terzo movimento», il più struggente. Perché qui Nosrat sembra davvero far propria l’ idea incardoniana della necessità che l’ emozione sia formalmente strutturata. Il regista palese e la sua ombra assediano Federico intento a scrivere con movimenti morbidi della camera, indugiando su oggetti, immagini di Federico, della sua casa. Segni, reperti, commenti per radicare nello spazio di una città così amata da non volerla abbandonare, un’ attività, quella dello scrivere musica, che sembra invocare uno statuto solipsista. Il «terzo movimento» si chiude su una immagine di Incardona, maturo, bellissimo come Cary Grant, guardato dall’ occhio della camera di Nosrat. Poi sul nero, mentre scorrono i titoli di coda si sente la voce di Carapezza che legge una lettera di Incardona del 1994. Una lettere dolorosa come la sua musica in cui si dice delle poche certezze sulle quali oggi può contare l’ uomo; del suo presente come metafora dell’ universale legge del dolore insanabile, e dell’ aspirazione di noi cani da fiuto a rivolgere in alto il muso lacrimoso nelle notte stellate chiedendoci il senso delle cose. La musica per Federico Incardona, scomparso l’ anno scorso all’ età di 48 anni, doveva intonare quel dolore non risanato. Il resto è chiacchiera, raggiro