Pupino Samonà, dietro i miei occhi.

Galleria immagini

di GREGORIO NAPOLI

La visione di questa video-biografia sollecita un paio di riletture. Anzitutto il capitolo XLVI del Doctor Faustus, elaborato da Thomas Mann nel “nel fatale 25 aprile1945”, quando le “gazzette pubbliche, – scrive il Nobel – libere già a metà dai ceppi, registrano la verità.” Pensiamo un po’: l’”uomo raccapricciante” Adolf Hitler ordina ai soldati sopravvissuti di affogare in un mare di sangue l’attacco contro Berlino, e di fucilare ogni ufficiale che osi parlare di resa. Ed intanto un generale d’OltreAtlantico fa sfilare la gente di Weimar davanti ai forni crematori del  lager e dichiara “quei cittadini che hanno tenuto dietro apparentemente con onore ai loro affari e tentato di non sapere nulla, benché il vento portasse alle loro nari il puzzo della carne umana bruciata – li dichiara correi degli orrori ormai smascherati ai quali li costringe a rivolgere lo sguardo”. L’altra rilettura è la pagina conclusiva di Case, amori, universi, l’ultimo libro di Fosco Maraini.

Fosco fotografo/giramondo descrive la morte del Duca nel “clima arcaico” delle antenate prefiche, tra lamenti funebri preistorici, ricollegando le esequie a “fili sconosciuti nell’animo (…) che riconducevano alle radici assolute delle cose, a mondi precristiani, all’alba dell’uomo e dei suoi più santi dolori”. A quelle radici del Fosco, ed allo sdegno manniano, si ispira Pupino Samonà, pittore tornato in Sicilia dopo cinquant’anni di assenza. Nosrat Panahi Nejad lo inquadra nel cortile/laboratorio, accompagnato dal cane scodinzolante. L’uomo è saldo nel ricordo del tempo passato: rivivono, dunque, i nomi di Pippo Rizzo e Ugo Attardi, e si giunge ad Artisti ancora militanti, ad esempio Bruno Caruso; ed il vecchio esalta la vivacità del gruppo intellettuale e, al fuoco di quelle lontane promozioni, Samonà confessa di “non avere avuto il tempo di annoiarsi”; non si è fossilizzato, insomma, e la sua esperienza si è arricchita, anzi, di virtuosi dialoghi: con Emilio Villa, o con Topazia Alliata: e quest’ultimo nome ci rinvia, per l’appunto, al Maraini. Anche Klee, Vedova e Turcato entrano nella conversazione tra Pupino e Nosrat, mentre si delinea l’Estetica della pittura come ricerca dell’Io, un aggetto figurativo sulla tela o sul metallo per ritrovare se stesso. La tecnica compositiva coincide, sovente, con una professione di anarchia. Non più l’uso del pennello, o non soltanto. Entra in gioco il pungolo, la tela è sostituita dalla lastra, la vaporizzazione è surrogato encomiabile alla tempera, la spatola cede all’aria compressa. Codesti valori diventano Este/Etici quando Samonà volge lo sguardo ai campi di Auschwits. Un grandangolo scruta nei documenti delle Schutz Staffeln, le turpi SS o pattuglie di “protezione” che orrendamente alimentavano i forni dopo aver raccolto le delazioni e aver e aver attuato le repressioni e i rastrellamenti. Esiste una sequenza in cui il pulviscolo emerge dal diffusore e impatta la tela, o lo schermo. È uno stilema che si presta a varie interpretazioni. Noi preferiamo assegnargli il ruolo del memento, affinché l’ignominia non cada nell’oblio. Così ci lascia Pupino. Non con fragore, ma con un gemito. Di pietà.

di EMILIA VALENZA

Quando Nosrat Panahi Nejad realizza un’opera video, costruisce per molti  versi un testo letterario, modula una trama narrativa accuratamente congegnata, individua la sequela dei capitoli e all’ interno di essi dispone paragrafi e sottoparagrafi. Sceglie volontariamente di muoversi all’interno della pratica documentaristica, sebbene siano l’aspetto psicologico ed esistenziale a condurre per mano lo spettatore. L’autore si muove in punta di piedi e lo spazio che dispega davanti ai nostri occhi si rende memoria evocativa di un’armoniosa classicità: nella sobrietà dello spazio della rappresentazione, attraverso l’estrema pulizia dell’immagine, con un discorso affabulatorio dall’andamento lineare, non cedendo mai a concettualismi di sorta né a spettacolarizzazioni d’effetto. La sua propensione al racconto e la durata del girato, estesa fino a consentire alla parola il completo dispiego, sono in contrapposizione a quella tendenza alla frammentarietà e alla velocità di tanta pratica contemporanea, e al contempo si rispecchiano in una modalità operandi incline all’efficacia comunicativa di una storia, che per la sua poeticità, l’equilibrio tra immagine e parola e la semplicità strutturale giunge diretta ed efficace.

“Dietro i miei occhi” ha avuto inizio dopo qualche mese dall’arrivo di Pupino Samonà a Palermo. Con un occhio dietro la videocamera fissa e con l’ausilio di una videocamera a mano, Nosrat Panahi Nejad accoglie il racconto dell’artista, assembla brani di un vissuto che si svela puntellato dalla presenza di persone fondamentali per la sua avventura creativa, come i suoi amici scienziati o la sua compagna di una vita. Parla Pupino con voce profonda, e il suo lavoro pittorico trova fondamento nel concetto di entropia, oltre la visione, oltre l’astrazione. Seduto dietro un tavolo rotondo, il suo volto perde i contorni dietro le volute argentee del fumo della sigaretta. Dettagli di opere si insinuano tra il volto dell’artista e il tavolo, creando incroci di senso tra parole e immagini. Poi cammina avanti e indietro nel lungo corridoio accompagnato dal suo cane e i ricordi si chiariscono, il percorso si riempie di tele. Nell’atelier sul terrazzo un’opera nasce attraverso l’uso sapiente dell’aerografo, mentre l’artista racconta del “Memoriale di Auschwitz”, un incarico importante e difficile, l’incontro –scontro con la figurazione, il ricordo e l’emozione di un’esperienza intensa, umori che trovano un magnifico contrappunto sonoro nelle Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach.

La poetica pittorica di Samonà si fa beffa delle teorie sulla morte dell’arte.
Non esprime il preteso “disincanto metafisico” post-moderno, ma un grande
incanto, un candido/amaro meravigliarsi.  “Incanto di un proprio intimo oriente”, ha
scritto, di Samonà, Enrico Crispolti nel 1970. E per “oriente” s’intenda, come sosteneva
Avicenna, la zona epifanica della mente. Non ha forse scritto Borges
il vero artista non è colui che inventa, quanto colui che scopre

Toni Maraini

 

           

*Un brano tratto dal testo integrale della video conversazione  con Pupino Samonà

 

La  ripresa viene effettuata  nello stretto corridoio della casa del pittore.

Pupino cammina, narrandosi, andando  avanti ed indietro .

L’esiguo spazio  del corridoio facilita il ritorno alla dimensione della memoria. 

.

[……..]

Nosrat: Come nasce il memoriale Auschwitz?

Pupino: E’ stato Nelo Risi, il regista e poeta il quale venne a trovarmi e mi disse senti io vorrei che tu vedessi un progetto, tanto ora sei in crisi e probabilmente questo ti stimolerà. Il progetto era quello dell’architetto Belgioiso. Io me ne innamoraì moltissimo. E gli disse fammi vedere se mi viene un idea, perché il problema che qui si pone è troppo grosso. E ho aggiunto che politicamente mi interessa. E da lì è cominciato tutto il travaglio di Auschwitz che debbo dire è stato decisamente molto complesso. Perché io l’avevo immaginato tutto diversamente volendo esprimere solo l’atmosfera di quella vicenda terribile che era stata perpetrato nei campi di concentramento. Invece poi mi chiesero di fare delle figure per fare capire. Cioè di scrivere, dipingere una storia. Io da 24 anni non facevo un disegno figurativo per cui è stato un bel problema. Poi mi venne l’idea di farlo disegnando dei fantasmi, delle figure, un po’ come dicevamo noi poco fa: non la materia della sofferenza ma il senso della sofferenza. I progetti sono stati poi approvati e da lì è venuto fuori Auschwitz. Io nel frattempo ho studiato i documenti della SS e da quelli mi sono tirato fuori delle diapositive per cui praticamente non mi sono inventato niente. Il pericolo che poteva venire fuori era che ne venisse una specie di fumetto cinese. Invece, il problema era talmente grave e doloroso che doveva essere il più severo, il più scarno, il più elementare possibile. Spero di esserci riuscito.

Nosrat: Nella realizzazione di questo progetto erano coinvolti altre persone? Per esempio per la parte musicale o per la costruzione dello spazio?

Pupino: Sì! L’architetto dello spazio era il Belgioiso. Si trattava della costruzione di un aspirale elicoidale dentro cui si camminava su una passerella di legno. Poi, c’erano le musiche di Luigi Nono che si udivano durante il percorso e anche alcuni scritti di Primo Levi, oltre, il mio affresco, che non è un affresco. Lì ci ho lavorato 11 mesi. Poi siamo andati a montare sul luogo  tutte le parti del dipinto . E lì abbiamo verificato che non funziona nulla. E devo dire che tutto questo lo avevo previsto. E quindi abbiamo fatto delle grandi correzioni fino a quando tutto è andato bene.

Nosrat: La simbiosi tra queste tre arti: la musica, l’architettura e la pittura come era? Per lei fu una esperienza soddisfacente?

Pupino: Assolutamente si! Secondo me il vero capolavoro era il progetto di Belgioiso. Quello è stato una intuizione incredibile. All’inizio questo lavoro volevano dare ad un grafico di nome Abe. Poi avevano chiesto anche a Guttuso, ma costava molto. Allora Nelo Risi venne da me. Credo che chiesero pure a Chagal. Ma egli disse di essere troppo vecchio e non se la sentiva.

Nosrat: La collaborazione con il compositore Luigi Nono come fu?

Pupino: Ma io non lo maì visto durante il lavoro. Lo avevo conosciuto. Non abbiamo lavorato insieme. Io praticamente ho lavorato solo coll’architetto. E’ stata una esperienza bellissima. Belgioiso era un uomo incredibile, intelligentissimo.

Nosrat: Come nasce il progetto?

Pupino: Questo non lo posso dire con esattezza. Ma l’architetto Belgioiso aveva già realizzato un altro progetto. Ma soprattutto lui era stato nel campo di concentramento. Se non erro a Mathusen. Per cui lui era uno che aveva l’esperienza di quella persecuzione. Ed era del partito d’Azione.

Nosrat: Tecnicamente l’”affresco”  Auschwitz come è stato realizzato?

Pupino: Dunque! Lo ho dipinto sulla tela olona. La tela olona è quello con cui si facevano la vela delle grandi barche dei briganti. E io lo ho dipinto con la pittura per esterni, una tempera per esterni. Che poi lo correggevo continuamente perché  dato il clima della Polonia tutto doveva resistere ai cambiamenti notevolissimi che va a ’20 o ’30  di inverno e a +30 in estate. Di Auschwitz te ne parlerò ancora perché voglio tirare fuori quei 20 o 25 fotografie lunghe  che riproducono l’opera . Comunque il memoriale indubbiamente il lavoro più importante che io abbia fatto , per lo meno il più sofisticato. Però nel frattempo ti dico che  ho fatto un mucchio di altre cose. […..]

Locandina del videofilm

NOTA DELL’AUTORE

Pupino Samanà

 Dietro i miei occhi il memoriale di Auschwitz

 

Mille segni hanno tracciato nella loro sostanza

I Primevi Pittori, nel laboratorio dell’eternità

Sanaì, Persia, secolo XI

Il pittore Pupino Samonà  torna in Sicilia dopo una lunga assenza durata cinquant’anni.  Viene ripreso nella sua  nuova casa palermitana, dove in un angolo del vasto e disadorno terrazzo  della sua casa allestisce il nuovo studio-laboratorio, anche esso provvisorio, esposto agli  sguardi dei suoi vicini  nella popolare zona di piazza Noce e a due passi dal Castello della Zisa.

Dopo il ritorno dall’esilio romano ancora l’assetto  della sua vita palermitana  non è del tutto chiaro e ne sono emblemi i quadri ammassati con casualità e noncuranza  un pò dovunque  ed altri ancora imballati a gruppi  e  sotto il dominio cieco della plastica trasparente che toglie  respiro ed energia alle sue eclissi pittoriche.  

In tutto serpeggia e si respira l’aleatorietà e il pensiero del ritorno come inizio di una  nuova ( per ora celata) e definitiva partenza.

La telecamera  “testimone-partecipe” inquadra inquadra ed scrive  il pittore  in un lungo camminare divagando negli  stretti corridoi della casa tra i suoi quadri e le note bachiane delle “Variazioni” che  imprimono una leggerezza consona alla sua etica comportamentale e  alla vasta materia mnemonica  ricavata dalla propria vita sin dalla prima emigrazione giovanile e dalle proprie riflessioni sul fare visivo. Dove i ricordi del Memoriale, realizzato tra 1978-1980, in seguito al progetto dell’architetto Ludovico Belgioso per ricordare i deportati italiani, si mescolano con altre problematiche di ordine  pittorico ed estetico e al racconto  della avventurosa vita da  nomade anticonformista.

E’ da sottolineare che in questa mia video scrittura tutta la narrazione  dell’artista contrasta con la sua grande solitudine e con  il suo male nascosto che lo porterà via  dopo appena due mesi  dalle ultime riprese realizzate nel luglio 2007.

Ecco una altra perdita per la generazione culturale e artistica palermitana  degli anni cinquanta, portatrice in un modo chiaro e sincero, di  piccole e luminose utopie e  di una sicilitudine che pian piano viene sostituita , beffardamente,  dalla predilezione della orfanità / orfananza come tratto specifico della condizione della città e la constatazione dell’inesorabile perdita  dei maestri di una polis sempre più infelice e depauperata….Pupino Samonà  muore a Palermo il 15 settembre 2007 .

n.p.n.

                                                                                                                                                                                                                                                              

Biografia di Pupino Samonà

 

Pupino Samonà nasce a Palermo il 19 luglio 1925. Nel maggio del 1947 compie il suo primo viaggio a Roma con l’intenzione di rimanervi per sempre, ma dopo tre mesi ritorna nella città nativa.

Nel 1948 insieme all’amico Bruno Caruso riparte per visitare la Biennale di Venezia. Di ritorno a Palermo decide di trasferirsi a Roma dove rimane definitivamente.

Nel 1950 dopo la sua prima mostra a Roma  presso la Galleria La Cassapanca, si reca in Polonia ed inizia ad utilizzare i nebulizzatori interrompendo per circa tre anni la sua vera attività pittorica.

Nel 1954 incontra Topazia Alliata, che sarà curatrice di tutte le sue mostre sino al 1969,  ed espone i suoi quadri in diverse mostre sia in Italia  che all’estero.

Nelo Risi, il regista,  lo coinvolge nel progetto dell’ architetto Belgioiso  che riguarda la progettazione e la realizzazione  del Memoriale italiano di Auschwitz, opera intesa a commemora gli italiani internati ed uccisi nel campo di sterminio.  A  Samonà  il compito della realizzazione della parte pittorica del Memoriale, che lo vedrà impegnato dal 1978 al 1980. In questo progetto viene  coinvolto anche  il compositore Luigi Nono per la parte musicale. E  durante l’inaugurazione dell’opera nell’Aprile del 1980 vengono recitati i versi  “Al visitatore” di Primo Levi.

Nel 1980 espone gli studi per Il Memoriale a Palazzo Barberini a Roma e alla Galleria Il Mercante di Milano.

Nel 2004 gli viene conferito il Premio per la cultura della Presidenza del Consiglio.  Rimane ancora a Roma  sino al suo rientro definitivo, dopo quasi mezzo secolo di erranza, a Palermo nel 2005. Muore a Palermo in seguito ad una grave malattia  il 15 settembre 2007.

 

 

SCHEDA

Titolo: Pupino Samonà, Dietro i miei occhi

Di: Nosrat Panahi Nejad

Con: Pupino Samonà

Fotografia-audio-montaggio: Nosrat Panahi Nejad

Musica: J. S. Bach: Variazioni Goldberg, G.Gould

Durata: 35°

Produzione: Luisa Mazzei-Nosrat Panahi Nejad-Palermo 2006-2007

 

 

© Nosrat Panahi Nejad