Ritrattografia
Ritratto
di
MICHELE CANOSA
Chi ha studiato la ritrattistica ha potuto notare che le principali lingue moderne derivano il termine ritratto dall’etimo latino.
L’italiano e lo spagnolo (“ritratto”, “retrao”) dal verbo “re-traho”; l’inglese, il francese, il tedesco e il russo (“portrait”, “portrait, “porträt”, “portret”) dal verbo pro-traho. Dunque: si traggono delle lingue, secondo la matrice traho. Ma: o si disegna qualcosa per qualcos’altro ( pro-traho) oppure qualcosa si ripete (re-traho) – pure, come si dirà “ritratto” in persiano? – in questi ritratti di Nosrat Panahi Nejad che sono dei foto-ritratti, intanto, si riscontrano le due accezioni: la sostituzione e la ripetizione.A volte si alternano, a volte si incrociano, altre convivono – stridenti.
Lo stridere del graffio sull’emulsione, più rabbrividente del gesso sulla lavagna, e più minaccioso: giacché minaccia il segno iconico, come ripetizione e come sostituzione.
E se la traccia è all’origine del ritratto, e questo verrebbe prima della fotografia, ecco che nelle fotografie
Ritorna la traccia come “presa alla lettera” del ritrarre e del protrarre , ma per indicarne l’origine e la definizione, lo statuto, la storia.
Per chi conosce Nosrat, trova conferma: ogni fotografia sua, o più spesso ogni sua serie di foto, è immagine e pensiero dell’immagine. Diremmo: lo “ scatto” del pensiero. Una riflessione quiescente che investe un’intera pratica fotografica, revocandola in questione. Lasciando emergere, di tale pratica – se possiamo scomodare Walter Benjamin – “l’inconscio ottico”. E la memoria. A partire dalla propria memoria ( foto di propri foto ritratti). E dalla propria esperienza (la fotografia come esperienza: lì dove io non sono) fino al rischio consapevole dell’autoritratto.
Sequenza di chiusura: una foto dopo l’altra, una ragazza svanisce, o forse, semplicemente, si nega alla duplice polarità del ritratto (ripetizione/sostituzione), infine, forse così si ritrae.